Banche Centrali e lavoratori: quali sono le priorità?

Bisogna mettersi in testa che le priorità della Banca Centrale Europea non sono le priorità dei lavoratori.

Riprendo il titolo di un articolo del prof. Bill Mitchell, rimodulandolo per il contesto europeo.

In questo lavoro il professore australiano ci fa riflettere su un aspetto davvero importante:

“i costi dell’inflazione sono minimi rispetto ai costi devastanti della disoccupazione. Al momento, i nostri politici non sono disposti a riconoscere questa realtà perché non sono loro a sostenere i costi.

In tutto questo, purtroppo, la “memoria storica” – per colpa o dolo – scompare; nulla si è imparato dalla lezione di cinquant’anni fa e l’ortodossia economica continua ad essere il leitmotiv dei banchieri centrali e degli economisti in veste di consulenti.

In un recentissimo report della Banca Mondiale, dal titolo “Is a Global Recession Imminent?” (È imminente una recessione globale?), si afferma:

“… molti paesi stanno ritirando il sostegno monetario e fiscale. Di conseguenza, l’economia globale è nel mezzo di uno degli episodi di inasprimento delle politiche monetarie e fiscali più sincroni a livello internazionale degli ultimi cinque decenni.”

E cosa si propone?

“Queste azioni politiche sono necessarie per contenere le pressioni inflazionistiche, ma i loro effetti reciprocamente composti potrebbero produrre impatti maggiori del previsto, sia nell’inasprimento delle condizioni finanziarie sia nell’inasprimento del rallentamento della crescita.”

L’ortodossia!

Proseguendo nell’articolo di Mitchell, si legge:

 <<La Banca Mondiale ritiene che:

1. “Dal lato della domanda, la politica monetaria deve essere impiegata in modo coerente per ripristinare, tempestivamente, la stabilità dei prezzi” – il cui significato è ritenere che l’attuale impennata inflazionistica sia un problema di eccesso di spesa (dal lato della domanda) piuttosto che un problema dal lato dell’offerta.

Quindi, secondo questa logica, le banche centrali devono spingere al rialzo i tassi d’interesse e spremere i mutuatari, che poi tagliano le spese perché alcuni finiscono sul lastrico, cosa che crea disoccupazione e tagli alla spesa di seconda istanza perché i redditi svaniscono.

Questa impostazione non prende in considerazione la logica alternativa secondo cui gli aumenti dei tassi di interesse fanno salire i costi delle imprese e delle società che con il loro potere di mercato trasferiscono gli aumenti dei costi e provocano un’impennata dell’inflazione.

In quest’ultimo scenario, e riconoscendo che attualmente i salari reali vengono tagliati in modo piuttosto drastico in alcune nazioni (il che significa che i salari non stanno spingendo i prezzi verso l’alto), non stiamo parlando allora di una spirale generalizzata salari-prezzi (come negli anni ’70) ma, piuttosto, di una massiccia sottrazione di reddito reale da parte del capitale.

2. “La politica fiscale deve dare priorità alla sostenibilità del debito a medio termine, fornendo al contempo un sostegno mirato ai gruppi vulnerabili” – si noti l’enfasi su “dare priorità”.

Quando parliamo di debito pubblico non esiste un analogo di ciò che potremmo considerare “sostenibile” in un contesto di debito privato.

Un governo sovrano che emette la propria moneta può sempre far fronte ai propri impegni e la sua banca centrale può sempre mantenere bassi i rendimenti.

Inoltre, un governo di questo tipo non ha nemmeno bisogno di emettere strumenti di debito che corrispondano alla sua spesa netta.

Questa è solo una convenzione.

Quando un economista dice che il governo deve dedicare il suo principale strumento di politica macroeconomica alla riduzione dell’esposizione debitoria, non si pone mai la domanda preliminare: perché il debito viene emesso?

Sappiamo perché sia stato emesso nell’ambito del sistema di Bretton Woods, perché altrimenti sarebbe stata compromessa la responsabilità della banca centrale di gestire la liquidità della valuta per sostenere le parità di cambio concordate.

Ma nell’attuale sistema di tassi di cambio flessibili (dal 1971 nella maggior parte delle nazioni), non esiste questa necessità.

E sappiamo che la funzione dell’emissione del debito è in realtà quella di fornire una forma elaborata di welfare aziendale (fornire un bene privo di rischio in cui parcheggiare i propri fondi speculativi per ridurre l’incertezza).

La lobby dei mercati finanziari ha esercitato con successo pressioni sui governi affinché mantenessero l’emissione di debito e poi ha organizzato un massiccio esercizio di propaganda per convincere il resto di noi che ciò era necessario perché il governo era come una grande famiglia e altrimenti avrebbe finito i soldi.

Abbiamo creduto alla propaganda e così è andata.

In questo modo, i conservatori hanno una potente arma politica con cui spaventare l’opinione pubblica in modo che i governi debbano “limitare” la loro spesa, almeno quando si tratta di contribuire a ridurre la povertà e fornire servizi pubblici.

Ben pochi vincoli vengono esercitati, invece, quando si tratta di sostenere il complesso militare-industriale o di salvare imprese private in tempi di crisi.

3. “Dal lato dell’offerta, devono mettere in atto misure per alleggerire i vincoli che si trovano ad affrontare i mercati del lavoro, i mercati dell’energia e le reti commerciali” – il che significa che la Banca Mondiale vuole più deregolamentazione e più libertà per le imprese di fare ciò che vogliono, dando priorità ai profitti rispetto al benessere generale.

È questa logica che ha portato all’ascesa della gig economy, alla perdita di qualità e sicurezza del lavoro, alla crescita piatta dei salari, alla massiccia impennata dei prezzi dell’energia, al calo degli standard dei servizi e a tutto il resto.

È questa la logica che ci ha portato all’attuale crisi della politica e non rappresenta in alcun modo una parte della soluzione.

Dovremmo cercare il modo di riprendere il controllo dei servizi essenziali come l’energia, le telecomunicazioni, l’approvvigionamento idrico, i trasporti, ecc… per garantire che servano l’interesse pubblico piuttosto che il profitto privato.

Gli attuali problemi di approvvigionamento non sono dovuti a un’eccessiva regolamentazione, ma soprattutto al fatto che la situazione legata al Covid (anche nelle scelte politiche prese, ndt) ha devastato i lavoratori in settori chiave della catena di approvvigionamento.

Intraprendere una politica che riduce l’occupazione e comprime i redditi dei lavoratori non farà altro che peggiorare la situazione.>>

Fonte: link all’articolo di Bill Mitchell http://bilbo.economicoutlook.net/blog/?p=50495#view_comments